Erano da poco passate le nove del mattino, il 16 marzo del 1978, quando un commando delle Brigate Rosse fermò la macchina su cui viaggiava Aldo Moro e sequestrò l’allora segretario della Dc. Per terra in via Fani, all’incrocio con via Stresa rimasero i corpi di 5 uomini in divisa.
Iniziavano così i 55 giorni di prigionia che cambiarono il volto del Paese.
In quel periodo l’Italia rimase col fiato sospeso e si divise tra la linea della fermezza, di chi non voleva trattare con i terroristi e quella dialogante di socialisti e radicali.
Poi il 9 maggio il capitolo finale. Il corpo di Moro fu ritrovato rannicchiato all’interno di una Renault 4 in via Caetani. Un luogo simbolico, a metà strada fra la sede della Democrazia cristiana e quella del Partito comunista.
Sono passati 39 anni ma oggi come allora il ricordo dell’uomo politico che ha scritto un pezzo indelebile della storia italiana e il sacrificio della sua scorta sono stati ricordati con il picchetto d’onore e le corone di fiori delle autorità.
Il questore di Roma, Guido Marino, ha sottolineato quanto sia importante ricordare costantemente chi si è sacrificato per il Paese.
Anche il vicesindaco Luca Bergamo ha voluto testimoniare come il sequestro Moro sia ancora una ferita aperta.
La storia ha voluto che quell’omicidio Fosse il canto del cigno del terrorismo brigatista. Dopo la morte dello statista democristiano le brigate rosse iniziarono a sfaldarsi e si aprì una nuova fase politica in cui le armi lasciarono il posto al confronto.